KUFFNER E SPERONE DELLA BRENVA / luglio 2013





il pendio che porta alla Fourche

il versante brenva del Maudit




Oltre l'Androsace

Verso la spalla del Maudit


Le Aiguille du Diable

Sui Trois Mont Blanc


La Cherè




Un Sera innamorato che manda sms teneri sul ghiacciaio

Sotto la Fourche



Sullo Sperone



L'arrivo al colle

in vetta con le ghette rubate a Whimper


Ho visto la prima volta in vita mia il Bianco solo tre anni fa. Con degli amici ero andato a sciare a Morgex e abbiamo deciso di far un giro in paese a Courmayeur. Era una limpida sera dei primi di marzo ed ecco, all'uscita di una galleria, un tripudio di granito rosso e ghiaccio: il lato sud del  Monte Bianco in tutta la sua bellezza e potenza. Lo slancio delle grandi creste, il fuoco dei pilastri incendiati dalla luce del tramonto, lo scintillare del ghiaccio, le ombre.. non riuscivo a credere a tanta bellezza. Non avevo visto nemmeno una foto del monte Bianco e vederlo così dal vivo mi lasciò senza parole.
Camminai tutto il tempo con il naso in su, sognando un giorno di respirare quell'aria sottile, finché il buio non scese a nascondere quella meraviglia.
La stessa estate ho salito il Dente del Gigante per la sua affollatissima via normale e ho potuto avvicinarmi un poco di più al gigante. Dalle terrazze del rifugio Torino si gode infatti di una magnifica vista sulla cresta di Peuterey e sulla maestosa parete della Brenva e non si può non rimanerne colpiti!
"Mai vista una magnificenza così schiacciante!" esclamava Freshfield nel lontano 1867.
Così, col crescere dell'esperienza e della conoscenza storica, la Brenva è iniziata a diventare un chiodo fisso. La lettura della guida dei monti d'Italia, estorta al buon Andrea, non poteva che peggiorare la situazione e l'immaginazione volava spinta dalle parole evocative e cariche di avventura che andavo leggendo.
Così è arrivato luglio, ero in buona forma, c'eran le condizioni e tre giorni di meteo super. Alla fine mi sono deciso per fare la Kuffner al Mont Maudit da solo.  
Nonostante qualche contrattempo (funivia presa all'ultimo secondo correndo, bivacco strapieno, fornello caduto nel ghiacciaio, 60m di cordino da 7 nascosti e mai più ritrovati...), la cresta è stata una bellissima cavalcata in ambiente a dir poco splendido: una gita perfetta. Inoltre guardandomi in giro le condizioni generali della zona mi son sembrate ottime e mi son promesso di tornare.
Così il weekend successivo, visto il perdurare dell'alta pressione, ecco maturare con Serafino il rocambolesco progetto di tentare la Sentinella Rossa, una delle grandi classiche della Brenva, partendo all'una e mezza di sabato da Genova e rientrando ad un'ora tale da riuscire a lavorare il lunedì.
Serafino, nonostante le numerose bastonate prese assieme quando si tratta di fare gite veloci, accetta senza eccessivi timori e coinvolge, in qualità di autista e di sostegno morale, la sua compagna Alessandra con le figlie.
Ed eccoci di nuovo volare leggiadri in autostrada a bordo della storica Golf di Serafino sfidando tutor e velox per arrivare in tempo a Courmayeur per prender l'ultima funivia.
Gasati, intimoriti e un po' confusi ci presentiamo dalla funivia col materiale buttato alla rinfusa in delle sacche.
Dopo una mezzora buona passata a sistemarci, ci incamminiamo sul ghiacciaio verso il bivacco della Fourche. Le condizioni sono peggiorate ed è un po' più caldo della settimana scorsa.
Risaliamo il pendio nevoso che porta al bivacco, sulla cresta spartiacque tra la Combe Maudit e il ghiacciaio della Brenva. Con una certa emozione sporgiamo il culo dalla ringhiera del bivacco e iniziamo a calarci verso il ghiacciaio sottostante. Procediamo quindi velocemente verso il Col Moore in piano mentre lentamente il sole tramonta.
Arriviamo su questa esile cresta di neve, da cui inizia lo sperone della Brenva, che ormai è notte. Oltre il colle precipita nell'oscurità uno scivolo ghiacciato che conduce all'immenso cono di valanga ai piedi del Pilier d'Angle che raccoglie le scariche di tutta la parete. 
Decidiamo così  di scavare una truna nella cresta nevosa del Col Moore e passarvi la notte. Non siamo dei grandi ingegneri e la costruzione è stretta, scoscesa e malfatta.
Si sta da cani: il soffitto gocciola, fa freddo visto che abbiamo solo un piumino ed un sacco da bivacco per essere "light and fast" e Serafino, con il suo poderoso torace, mi spiaccica quando inspira.
Dopo un'ora di disagio gratuito ci scambiamo visto che io son in apnea e lui che è vicino all'uscio ha freddo. Passa ancora un po' di tempo e mi rompo definitivamente le scatole, così esco e inizio a sciogliere neve in abbondanza. Serafino si ostina a "dormire" e se ne resta dentro il suo antro a tremare.
Anche lui dopo un po' cede e intorno alle due di notte si parte verso lo sperone, più veloce e sicuro della via che avevamo in programma. 
Iniziamo un traverso discendente sotto la base rocciosa sperone (variante Farrar) su neve ripida, misto facile e detriti. Quindi saliamo per un pendio fino a raggiungere la cresta nevosa dello sperone. Saliamo per un numero infinito di passi su neve mentre il sole nascente inizia a delineare il mostruoso ambiente che ci circonda. Ammiriamo sulla nostra sinistra il Pilier d'Angle, la Pera con i suoi immensi seracchi, lo sperone della via Major dove vediamo impegnati due ragazzi e il canale centrale. Il silenzio è rotto solo dallo scricchiolio dei ramponi e da qualche piccola scarica in altre zone della parete. 
Vediamo altre cordate prossime all'uscita che pare vicinissima ma, come sempre, non arriva mai. Dopo tanta fatica siamo sotto la barriera finale di seracchi sotto i quali dobbiamo compiere un lungo ma facile traverso su neve per trovare un punto debole. Superata la fascia, esausti arriviamo al colle della Brenva, fuori dalle difficoltà.
Ci restano "solo" 500m di dislivello per monotoni pendii che Serafino si rifiuta di percorrere.
Così io proseguo mentre lui opta per vegetare al colle mangiucchiando pezzi di barrette.
L'acclimatamento è nullo e ho un fiatone da Everest ma la vetta pian piano arriva.
Ritornato al colle trovo Serafino sdraiato in stato di semicoscienza esattamente come lo avevo lasciato. Sciogliamo altra neve e iniziamo a scendere. Sarà una discesa infinita viste le numerose risalite e arriviamo alla Midi devastati.
Riusciamo a prendere la funivia delle sei e a scendere così a Chamonix.
Sulla funivia chiacchieriamo con tal Ugo e col suo socio che, in preda alle allucinazioni, scambio per  Urubko. Si offrono di portarci a Courmayeur dove ci attende Alessandra o almeno così crediamo. Infatti, mentre ci gustiamo una meritatissima birrona, Serafino la chiama al cellulare e lei candidamente dice di esser già tornata a Genova.
Intanto Ugo e il socio se la ridono e si propongono di portarci almeno fino a Torino. Passato il traforo, fortunatamente, il tutto si rivela un malefico scherzaccio di Alessandra a cui complice il manifesto degrado fisico e mentale abbiamo subito abboccato... 

Il rientro alla normalità è un lunedì mattina come tanti altri con le gambe belle dure e la testa ancora lassù.
La Brenva è sempre là e faremo in modo di tornare su queste vie intrise di storia, dove la difficoltà tecnica conta poco ma è l'ambiente il vero protagonista. 
Qui le mode e le folle non arrivano e le emozioni che ci pervaderanno saranno forti e pure come quelle di chi ci ha preceduto.