Eiger Parete Nord / novembre 2015


Kleine Scheidegg
  
Vista sull'avvicinamento

Il versante di discesa



Il pilastro spezzato





La Rote Fluh






Fessura Difficile






Traversata Hinterstoisser



Primo nevaio



Canalino ghiacciato
secondo nevaio



tutto a sinistra il "ferro da stiro"

sulla rampa






il camino della cascata




la pila di piatti che porta alla cengia friabile




Fessura friabile

bivacco alla traversata degli dei




*****



la traversata degli dei




sul Ragno




La fessura di quarzo


Bivacco Corti








il camino nero










EIGER - PARETE NORD

Poche pareti hanno avuto un ruolo centrale nella storia dell’alpinismo come la nord dell’Eiger. In oltre ottanta anni su questi milleottocento metri di calcare scuro, friabile e incrostato di ghiaccio sono sfilati i grandi dell’alpinismo dando vita a storie immortali.
Il tentativo del 1935 conclusosi con la morte per stenti di due alpinisti tedeschi intrappolati dalla tempesta su una piccola cengia che da allora è chiamata il bivacco della morte.
La tragica fine di toni Kurtz e dei suoi compagni. La prima salita di Heckmair, Harrer, Vorg e Kasparek nel 1938 esaltata dalla propaganda nazista. La prima ripetizione nel 1947 ad opera dei francesi Lachenal e Terray. Il calvario di Claudio Corti e Stefano Longhi nel 1957. La prima ripetizione italiana del 1962 in ben sei giorni ad opera di Aste, Solina, Acquistapace, Mellano, Perego e Airoldi. Il tentativo in solitaria di Bonatti conclusosi con una rapida ritirata a causa di una scarica di pietre. L’apertura della direttissima Harlin nel 1966, durata ben un mese in pieno inverno e funestata dalla morte dello stesso Harlin. La velocissima ripetizione ad opera di Messner e Habeler in 10 ore nel 1975. Il boom delle solitarie: Ivan Ghirardini, Profit, Cesen, Alison Heargraves (incinta al 6 mese!), Catherine Destivelle ... E via verso una velocità sempre più esasperata fino all’ultimo record di Ueli steck in 2h22’.  
Nel mezzo tante avventure e tragedie più o meno note che hanno contribuito al mito di questa parete.
Ad essa sono stati dedicati fiumi di inchiostro, film e documentari e il suo fascino non soffre il tempo.
Da quando ho iniziato fare alpinismo salire la la nord dell’Eiger è stato forse il mio sogno più grande e come spesso accade, i sogni si realizzano nel modo più inaspettato.
In un novembre come tanti improvvisamente la Nord va in condizioni.
Mi trovo così con Fulvio Scotto diretto verso Grindelwald a tutto gas per prendere il famigerato trenino.
Fulvio ha già tentato la parete negli anni novanta incontrando condizioni secchissime.
Il tutto si era concluso con un' epica ritirata dallo Stollenloch, la porticina di legno che si affaccia sulla parete, come in  "Assassinio sull'Eiger"!
Grazie alla giusta dose di delinquenza nella guida (e al prezzo di una potente multa Svizzera..) arriviamo a destinazione con un buon anticipo.
La valle di Grindelwald è tetra e umida, oppressa dall'ombra dell'enorme parete.
Col trenino raggiungiamo la stazione di Eigergletscher con la sua carissima pensione. 
Dopo una notte nei limiti del possibile tranquilla, partiamo e raggiungiamo in poco tempo la base della parete tagliando a mezza costa per prati ripidi e neve.  Superiamo un diedro verticale alto dieci metri e proseguiamo per cenge nevose intervallate da corti muretti di roccia. 
Le condizioni lungo lo zoccolo sono ottime e c'è una bella traccia. Con un delicato traverso su misto arriviamo base della Fessura difficile che facile non è ma è ben chiodata.
Seguono alcune semplici lunghezze su neve che scorrono sotto la Roth Fluth, un'alta pala di roccia compatta e strapiombante dove sono state tracciate delle vie di roccia di alta difficoltà, fino al "traverso Interstoisser".
Al momento questo presenta una corda fissa in loco con spit agli ancoraggi e meno male! Pensare a come abbia fatto Interstoisser pendolando sulla corda e con gli scarponi ai piedi a superare questo lungo traverso su una placca levigata lascia senza parole. Se non fosse attrezzato sarebbe probabilmente il passaggio più duro della salita.
Saliamo ora sul primo nevaio al termine del quale troviamo il "canalino ghiacciato", un’ esile colata di ghiaccio che porta al secondo nevaio. 
Il sole tramonta mentre siamo nei pressi dello sperone roccioso meglio noto come il "ferro da stiro". Con un tiro su misto non banale raggiungiamo la sua sommità dove si trova il "bivacco della morte", una cengia nevosa protetta da una parete rocciosa.
Ci predisponiamo con cura per il bivacco, mangiamo in abbondanza e passiamo una notte comoda.
All'alba ripartiamo lungo la rampa. Superiamo il "camino della cascata" che si presenta in condizioni  super, quasi tutto colato di ghiaccio e il tiro seguente che è piuttosto delicato.
Ci troviamo quindi su un piccolo nevaio nei pressi della "cengia friabile", che raggiungiamo con un tiro su misto facile ma bello marcio.
Traversiamo la cengia e scaliamo la "fessura friabile",che friabile non è ma resta bella fisica.
 Al suo termine la vista si apre verso la mitica "traversata degli dei". E’ l’una e mezza del pomeriggio e Fulvio insiste per fermarsi a bivaccare visto che ci restano ancora trecento metri impegnativi e questo è l’ultimo posto da bivacco decente.
Io vorrei proseguire a costo di fare qualche tiro al buio ma alla fine, per quanto contrariato all’idea di stare sedici ore fermo al freddo, cedo.
La cengia su cui bivacchiamo è lunga e stretta e ci posizioniamo ad una certa distanza per questioni di comodità, ognuno chiuso nel proprio sacco e nei propri pensieri.  
La notte è decisamente più fredda della precedente, nevica debolmente e c’è vento. La neve si scioglie ai lati del materassino e finisce col bagnarmi una chiappa di acqua gelida provocandomi intenso piacere. 
Quando ripartiamo con la luce siamo abbastanza provati da questa lunga notte.
L’Orco dal canto suo ci mette a nostro agio offrendoci una piacevole temperatura di -10 con vento, nebbia e rocce galavernate! Sembra di essere in un film in bianco e nero..
La "traversata degli dei" si supera con tre lunghezze delicate e aeree su misto e da accesso al mitico nevaio pensile del Ragno Bianco. 
Superato il ragno ci aspettano le fessure finali che si rivelano belle impegnative specie la Fessura di quarzo e il temibile camino nero terminale.
In quest'ultimo appigli, agganci per le picche e protezioni scarseggiano e saliamo malamente in opposizione sulla galaverna invocando la madonna.
Finalmente raggiungiamo il pendio nevoso finale che porta sulla cresta Mittelegi mentre il sole tramonta.
L'arrivo in vetta è spettrale tra buio, vento e freddo infame.
Scendiamo per infidi pendii di pietrisco e neve raggiungendo il canale di discesa che si presenta purtroppo interrotto da vari salti di roccia. 
Vista la stanchezza e le difficoltà di orientamento decidiamo di concederci un altro amabile bivacco su una cengia nevosa.
Al mattino il meteo è super ma siamo asfaltati fisicamente e io anche un po' mentalmente.
Fulvio invece è sereno come un bimbo nella culla essendo reduce da decenni di bivacchi al freddo e altre amenità. Con calma troviamo la strada fino alla pietraia. 
Mentre ci godiamo il tiepido sole del mattino vediamo passare a tutta niente meno che Ueli Steck che come scopriremo in seguito ha appena fatto la nord in 2h 22’!
Lentamente raggiungiamo il trenino e saliamo su un vagone carico di turisti giapponesi che ci guardano straniti.

Mi immaginavo una salita nettamente più veloce e meno sofferta. Invece abbiamo vissuto un alpinismo d’altri tempi in cui Fulvio davvero eccelle.
Ben diverso da quello che normalmente si pratica oggi che giustamente punta su velocità e leggerezza per limitare la permanenza in parete. 
In ogni caso rimane una delle esperienze più intense e formative che ho vissuto in montagna.
Un emozionante viaggio nella storia in un ambiente veramente grandioso e una via super se si ama il misto.
Ai giorni d'oggi  l'ingaggio non è certo quello di un tempo.
Tuttavia, quando cala la notte e l'aria diventa gelida, guardando le piccole luci di Grindelwald in fondo alla valle si può godere della propria solitudine e del proprio isolamento tra le pieghe dell'Orco.
Felici di esser dove ci si trova e al tempo stesso ansiosi di tornare.