VIA CASSIN ALLO SPERONE WALKER/ PARETE NORD DELLE GRANDES JORASSES (CON RELAZIONE!) 3 settembre 2016
la placca montonata dove iniziano le difficoltà |
diedri Allain e Rebuffat |
lo spigolo oltre il quale (a dx) si trova il diedro di 75m |
diedro di 75m |
risalendo dopo il pendolo |
Alice |
i modesti posti da bivacco sotto le placche nere |
placche nere |
Alice in uscita dalle placche nere |
la placca grigia |
vista sulla Colton |
la placca grigia |
l'estetica schiena di mulo sul filo dello sperone |
il nevaio triangolare e la torre rossa |
l'ingresso dei camini rossi |
camini rossi |
uscita camini rossi (non si sale il diedro in fondo ma si traversa il nastro ghiacciato verso destra quando possibile) |
ultime difficoltà |
imbruttimento in discesa |
imbruttimento |
Arriva l’estate e le condizioni in
quota sono ottime.
Io e Alice passiamo un agosto
frenetico costellato di tentativi e insuccessi.
Passiamo da un obiettivo all’altro senza riposarci ne prepararci psicologicamente e ogni volta falliamo. Abbiamo tanta, troppa motivazione ma dobbiamo ancora affinarci come logistica.
Alla fine dopo l’ennesimo bidone
capiamo che è il caso di fermarsi un attimo.
Ci rilassiamo qualche giorno a
Valtournenche, ospiti dei genitori di Alice.
Agosto volge al termine e il riposo permette al corpo e alla mente di rigenerarsi.
Siamo in ottima forma e l’alta
pressione continua.
Decido di provare a fare la Cassin al Pizzo Badile da solo visto che Alice è occupata.
Ne uscirà una salita stupenda, un vero regalo della natura e della vita.
I giorni seguenti sia io che Alice
siamo belli carichi e il meteo è ottimo su tutto l’arco alpino.
E’ il momento di decidere un
obbiettivo tra i tanti dell’estate. Informandomi su internet scopro che lo
Sperone Walker alle Grandes Jorasses è stato percorso di recente.
Dopo un lieve pressing psicologico
su Alice che è un po’ intimorita dalla lunghezza della via la decisione è
presa.
Arriviamo in mattinata a Chamonix
e prendiamo il trenino a cremagliera che porta a Montenvers nei pressi della
Mer de Glace. Scendiamo le esposte scale metalliche presenti e raggiungiamo il
ghiacciaio.
Camminiamo lungamente in piano
fino ad entrare nel ghiacciaio di Leschaux mentre la parete inizia a delinearsi
in tutta la sua imponenza.
Una bastionata scura alta
milleduecento metri nel punto più alto, solcata da profondi canali ghiacciati e
da imponenti speroni.
Io sono già stato qui due anni fa per salire "reve ephemere d'alpiniste" , una bella goulotte non troppo difficile nella parte destra della parete nord.
Lo sperone Walker è il più
evidente ed elegante e si è subito imposto come uno dei grandi problemi
alpinistici nel periodo tra le due guerre mondiali.
Cassin, Esposito e Tizzoni si
aggiudicarono la prima salita nel ’38. La loro intenzione iniziale era di
tentare la prima salita della parete nord dell’Eiger ma, una volta giunti a
Grindelwald, scoprirono di esser stati preceduti.
Così “ripiegarono” su questo
sperone di cui avevano solo sentito parlare. Nessuno dei tre aveva mai messo piede
nel gruppo del Monte Bianco e non sapevano nemmeno come raggiungere la parete.
A compensare la loro scarsa
conoscenza della zona avevano un grande intuito e una forma fisica invidiabile.
Basti pensare che per verificare le
condizioni Cassin e Tizzoni salirono a piedi al rifugio Torino e discesero il
ghiacciaio con un interminabile percorso fino alla base della parete quindi tornarono
a Courmayeur per telefonare ad Esposito e dirgli di partire da Lecco!
La prima salita fu una vera
impresa con tanto di piramidi umane per superare alcuni passaggi e venne resa
ancora più difficile dal maltempo.
Dopo la guerra la via venne ripetuta abbastanza spesso fino a diventare una delle più belle classiche del massiccio del Monte Bianco.
Speriamo di essere all’altezza.
Arrivati al rifugio di Leschaux
veniamo accolti con gentilezza dai gestori che ci informano delle buone
condizioni della via. Pensavamo di trovare numerose cordate invece saremo soli.
Per l’una e mezza di notte
partiamo. La parete quasi non si vede in questa notte buia e senza luna.
Camminiamo lentamente accompagnati
solo dallo scricchiolio dei ramponi sulla neve gelata.
Il rifugio, ultimo residuo di
civiltà, diventa presto un’impercettibile lucina immersa nell’oscurità.
Il ghiacciaio da pianeggiante e
chiuso diventa più ripido e tormentato e ci costringe a un po’ di giri per
evitare i crepacci più aperti.
Puntiamo alla base dello sperone
che si riesce ad intuire nonostante l’oscurità. Ci infiliamo nella grande
crepaccia terminale tra le grottesche forme del ghiaccio e raggiungiamo un
pendio ripido che sembra condurre in breve a rocce scalabili.
Come attrezzatura da ghiaccio
siamo abbastanza risicati ma il pendio è fortunatamente breve e riesco ad
arrivare ad una sosta attrezzata su roccia.
Calo le piccozze ad Alice in modo che possa raggiungermi.
Proseguiamo così lungamente al
buio con gli scarponi ai piedi sul primo quarto dello sperone che si svolge su
rocce facili e un po’ rotte.
Arriviamo con le prime luci alla placca montonata posta sotto i diedri Allain e Rebuffat dove iniziamo a procedere in scarpette e a tiri.
Il tiro dei diedri capita ad Alice e si rivela tecnico e impegnativo. Abbiamo degli zaini davvero leggeri per questa salita ma sul verticale il peso si fa sentire comunque.
Dalla cengia sopra i diedri
obliquiamo lungamente a destra fino a scovare il Diedro di 75m nascosto oltre
lo spigolo. Il diedro è magnifico; sembra un enorme libro aperto.
Arriviamo così alla famosa calata con pendolo e proseguiamo fino alla base delle Placche Nere.
Il muro che ci sovrasta è tetro,
ripido e per niente banale. Fortunatamente i chiodi in loco non mancano e ci concediamo un paio di munte per accelerare i tempi.
Che livello che aveva Cassin!
Lanciarsi in apertura con gli scarponi su per questo muro verticale e privo di
linee evidenti in quelli anni è incredibile.
Alle placche nere segue la Placca Grigia
decisamente più facile e su roccia super.
Raggiungiamo così il filo dello
sperone oltre la sua porzione più ripida e riusciamo ad esser sempre e comunque
all’ombra.
Gaston Rebuffat nella sua
bellissima guida del Monte Bianco decantava come lo sperone fosse baciato dal
sole per buona parte della giornata. Direi che non si riferiva al mese di
settembre…
Saliamo lungamente sul filo
vedendo in lontananza la Torre Rossa, l’ultimo risalto prima della vetta.
L’ambiente è incredibile e si apre
verso il cielo, non più sovrastato dalla mole della montagna.
Raggiungiamo il corto Nevaio
Triangolare alla base della torre. Qualche cambio di assetto e attacchiamo i
famigerati Camini Rossi.
Questi sono uno dei tratti più
balordi della salita. La roccia è bella per colore ma non per consistenza e sul
fondo del camino c’è ghiaccio in abbondanza.
Con un po’ di numeri da circo
compresa qualche emozionante pedata sulla neve in scarpette raggiungo la sosta
al termine.
Due tiri in traverso e siamo fuori
dalle difficoltà. Mancano “solo” duecento metri di terreno detritico fino alla
vetta.
Il sole sta tramontando e tutto si
tinge di rosso. Siamo stanchi e infreddoliti per via del vento che ha iniziato
a soffiare ma fortunatamente manca poco.
Affrontiamo al buio l’ultima delicata lunghezza di misto e
superiamo con una certa emozione la grande cornice sommitale.
Siamo in vetta alla Walker e ci
abbracciamo.
La gioia è cosa effimera comunque.
Ora bisogna scendere il più possibile e togliersi da questo vento.
Siamo riusciti a uscire in
giornata grazie agli zaini iperleggeri ma ora pagheremo il prezzo della nostra
leggerezza...
Io ho un piumino con cui prendo
l’aperitivo a Finale e Alice poco di più.
Iniziamo a scendere lungo la via normale
che è tutto meno che semplice ed evidente, specie in piena notte.
Dopo alcune centinaia di metri,
Alice insiste per fermarsi e nonostante sia convinto che si possa scendere
ancora, vista la stanchezza, accetto subito.
Troviamo un terrazzo scosceso
sulla cresta e ci infiliamo nel sacco da bivacco pronti a gustarci una notte
carica di delizie.
Un vento gelido ci sferza e
tremiamo quasi ininterrottamente.
Scivoliamo col sedere in
continuazione e dobbiamo puntellarci coi piedi, il che ci provoca continui
crampi.
Se apriamo troppo il sacco
geliamo, se lo chiudiamo troppo soffochiamo.
Quanto meno apprezzo di non dover
abbracciare qualche socio puzzolente ma la mia ragazza.
Le ore scorrono lentissime finchè
alle cinque decidiamo di averne abbastanza e ci rimettiamo in movimento.
La discesa è eterna e mai banale
ma finalmente arriviamo al rifugio Boccalatte (dove conosciamo il mitico Franco Perlotto!) e dopo altre due ore alla
civiltà.
E qui arriva il colpo di scena!
Alice telefona ai suoi genitori e Marco, colto da un moto di orgoglio per la
nostra salita decide di venirci a prendere a Courmayeur con sua moglie Germana.
Cerchiamo con poca convinzione di
dissuaderlo dicendogli che è troppo distante, che non è il caso.. Ma in fondo
ci fa un enorme piacere.
La missione di soccorso ai prodi
alpinisti si conclude degnamente al ristorante L'Archivolto a Ovada (consigliatissimo!!) dove, tra un
racconto e l’altro, abbiamo modo di reintegrare abbondantemente le energie
consumate con della cucina tipica piemontese di alto livello innaffiata con del Barolo...
Questa salita rimane uno dei miei più bei ricordi in montagna anche e soprattutto per averla condivisa con Alice.