Il diedrino d'attacco in comune col Diedro Rosso |
la scaglia |
I compagni di viaggio |
il penultimo tiro |
Premessa:
Era un periodo di fuoco sacro e
disagio. Negli anni, oltre alle ingiurie del tempo, è subentrato forse un po'
di quell'equilibrio a cui anelavo. Il disagio ha lasciato posto ad un po' di
consapevolezza. Il fuoco non si è spento ma è diventato una brace che rischia
di ardere molto a lungo ma in maniera più pacata.
Le ferie sono finite. Il rientro lavorativo è piuttosto
traumatico. Mille dubbi sulle mie scelte e sul senso di ciò che
faccio.
Il lavoro che ho scelto fa per me? Sto sbagliando tutto? Faccio
una vita che mi appaga o la mia è routine condita di scorpacciate di
adrenalina?
Perchè il mio alpinismo a volte sembra più una fuga
dalla realtà e dai problemi? Una fottuta droga che mi getta in un mondo dove il
tempo ha un altro valore..
Perchè fuggo? Perchè quell'ambizione cieca, rude e affamata non
guida il resto della mia vita?
Le montagne valgono quanto l'uomo che vi si misura. Altrimenti
sono sterili mucchi di pietre diceva Bonatti. Chissà io che uomo posso
essere.
Con un lavoro che non decolla, guerriero da weekend pronto a
fuggire alla prima occasione per lottare con la natura e soprattutto con me
stesso.
L'adrenalina appaga e da il giusto oblio. Permette di fiatare. E
la fatica aiuta, il freddo aiuta, il male aiuta a non pensare.
E poi c'è la bellezza. La montagna è soprattutto bellezza. Ma per
viverla a fondo ho bisogno di mettermi alla prova, la contemplazione non mi
basta.
La vita è bella. Gli amici buoni ci sono eccome, ci sono giornate
bellissime e la promessa di un domani migliore sta dentro di me.
E intanto è metà settembre, il meteo è buono e si potrebbero fare
grandi salite. Ma i miei amici non condividono le mie ambizioni o sono
occupati. Per una questione o per l'altra o ripiego su progetti banali o son
senza soci. Ma la voglia di grandi salite è tanta.
Così dopo aver inizialmente ceduto ad andare a far una via sulla
sud del Corno con Alessandro e Serafino cambio idea e ci organizziamo
diversamente. Loro andranno sulla sud, io tenterò in giornata e da solo la Via
dell'aspirazione sulla nord.
Un saluto e mi incammino lungo il sentiero. Raggiungo il gias del
Lagarot all'imbrunire. C'è una lieve nebbia che sale dalla valle mentre mi
incammino sulla pietraia e l'ambiente è un po' tetro.
Dopo una cena fredda ma abbondante , esco un attimo per assaporare
la stellata e la splendida mole nera della parete vicina. E' qui che voglio
essere.
La notte trascorre inquieta; dormo poco e a tratti. Il silenzio
nel bivacco è totale.
Finalmente suona la sveglia e inizia l'azione. Faccio colazione,
preparo con cura le ultime cose e mi incammino sotto il peso dello zaino e
della luna piena.
Prendo il passo lento, cadenzato, secolare degli uomini di
montagna. Raggiunta la base del Lourousa, monto i vecchi ramponi a
cinghie di mio padre sulle pedule e inizio a risalire faticosamente il canale.
La luna si è nascosta e pian piano, mentre risalgo, il sole arriva a disegnare
al mio fianco la parete in tutte le sue pieghe e i suoi colori.
Dopo un numero interminabile di passi raggiungo le cengiette
d'attacco su terreno detritico. Mi preparo con attenzione, assaporando la
severa bellezza che mi circonda e parto su per il diedrino iniziale
slegato.
Traverso quindi lungo un' ampia cengia erbosa profumata di ginepri
e mi porto alla base di un diedro verticale ma molto appigliato.
La parete continua ripida ma lavorata e riesco in poco tempo ad
arrivare a sostare sulla verticale della grande scaglia che caratterizza il tratto
centrale della via.
E' bello scoprire questo pezzo di parete da solo. Capisco perchè
Fulvio dice che non ama andare in solitaria su vie già percorse. Il fascino sta
nell'intimità della scoperta.
Dopo aver preparato il sistema di autoassicurazione affronto
il tiro che si rivela ben scalabile e sosto alla base della scaglia.
Sul tiro della scaglia salgo inaspettatamente bene in libera con
dei bei passi atletici, arrivo ad uno spuntone e proseguo per la placchetta
successiva. Questa si rivela assai delicata ma con un po' di attenzione passo e
proseguo per un diedro strapiombante davvero magnifico. L'arrampicata è rude e
fisica con un misto tra incastri e passaggi in opposizione. Faccio
una scomoda e incassata sosta sotto il grande tetto che visto da qui mette un
certo timore. La successiva discesa e risalita sono complicate e estremamente
faticose per il peso dello zaino.
L'ingaggio è tangibile: ritirarsi da qui sarebbe estremamente
difficile e l'isolamento è totale ma il fascino sta anche in questo. Qui non
c'è quell'illusione di sicurezza data dalla presenza di altre cordate, da una
funivia o dai cellulari. Qui c'è ancora spazio per l'avventura e per
l'incertezza che ogni giorno tanti cercano di sopprimere in nome di esperienze
surrogate e preconfezionate.
Riparto verso il tetto dove faccio qualche metro in artificiale
sul difficile traverso iniziale per poi proseguire in libera. La scalata è
sempre atletica, aerea e appagante.
Per contro la discesa e la successiva risalita sono una via crucis
ma sono il giusto prezzo da pagare.
Seguono due tiri su difficoltà classiche e poco esposti che mi
portano nei pressi della cresta sommitale.
Con alcuni passi molto esposti ma facili la seguo e raggiungo la
vetta appena prima del tramonto.
Sono uscito dall'ombra della parete e sono solo, accanto alla
croce, in una bellissima luce autunnale. La gioia è tantissima e mi commuovo in
questo effimero istante costato così tanta fatica. Vorrei restare qui fermo a
seguire il sole mentre scompare dietro le montagne dimenticando tutto in questo
tripudio di colori e sensazioni.
Come spesso accade nella vita, i desideri che ci hanno pervasi per
molto tempo e per la cui realizzazione abbiamo tanto lottato, se vengono
appagati, ci lasciano una pienezza tanto intensa quanto fugace.
E presto tornerà la sete..
Scendo quasi di corsa giù per il pianoro sommitale e con le ultime
luci trovo gli ancoraggi di discesa. La discesa va via veloce e fortunatamente
senza intoppi. Riesco a comunicare coi miei amici al rifugio gridando tutta la
mia gioia nella notte e tranquilizzandoli.
E così di lì a poco sono tutto rotto e carico di emozioni al
rifugio dove mi aspetta un piatto gigante di pasta, acqua e buona compagnia. E
nel racconto si scioglie tutta la tensione accumulata durante il giorno e il
bisogno di condividere accumulato in tutte quelle ore di intensa solitudine.
Marco del Bozano è come sempre un amico e non vuol
nulla per la pasta. Al ritorno Serafino e Alessandro si confermano dei santi
portandomi il megazaino e guidando fino a casa. Li ringrazio per avermi aiutato
a realizzare questa piccola follia.
Segue così un ritorno alla normalità rapido e traumatico; un
grigio lunedì come tanti altri.
Ma la bellezza dell'avventura vissuta ogni tanto riaffiora e
mi conforta in queste giornate uggiose. . Una sfida con me stesso che volevo
affrontare e che mi permette ora di vedere più nitidamente molte cose.
La montagna da e insegna tanto ma non è la giusta cura per i
problemi non affrontati. Non si può fuggire in eterno.
Le salite che facciamo poi non dicono quello che siamo, così come
non lo dicono il nostro aspetto, la nostra posizione o quello che compriamo.
Siamo condizionati a tal punto dalla mentalità competitiva e
arrivista che impregna la nostra società da vedere la vita attraverso filtri
distorti. L'alpinismo non fa eccezione.
Spesso maciniamo salite su salite come se fossimo dei
collezionisti senza soffermarci sull'esperienza che viviamo, perdendo quella
sensibilità vergine che avevamo agli inizi. Diventiamo insaziabili viaggiatori
che si guardano intorno meno di quanto dovrebbero.
La montagna sarebbe bello imparare a viverla con sincera gioia
lasciando un po' da parte la sfida.
Muoversi in questa natura maestosa e eterna è un privilegio, un
dono che dovrebbe arricchire la nostra vita e noi non ce ne rendiamo conto
imprigionati nelle nostre attrezzature hi-tech, nei nostri gradi e nelle nostre
miserie.
Siamo alpinisti senza esser montanari . Turisti di elevato profilo
tecnico-atletico. Fottuti cittadini.
Spero un giorno di trovare un equilibrio nella vita, una visione
più ampia.
Affondare le unghie nell'essenza di una cosa permette di scoprirne
il mistero. Viver come farfalle saltando da un fiore all'altro senza
soffermarsi troppo non fa per me.
D'altronde però concentrare se stessi su una sola cosa rischia di
farci perdere molto altro.